“Se entri in una scuola e chiedi ai bambini cosa vogliono fare da grandi, troverai chi risponde l’astronauta, chi il medico o chi il ranger. Ma questo non significa essere visionari. Visionario è chi ci crede, fino a giocarsi ogni cosa della vita”. Queste sono le parole di Tim Smit, un britannico di origini olandesi che un sogno ha trasformato in uno degli uomini più popolari d’Inghilterra. Un evangelista, lo definisce l’architetto Nicolas Grimshaw, perché la gente lo segue come un profeta, e la stampa lo acclama con entusiasmo.

Tim Smit ha cresciuto una foresta tropicale nel vento della Cornovaglia, l’ha coperta con un sistema di cupole enormi che posano le fondamenta sulla fiducia degli uomini, e l’ha chiamata Eden Project. Due milioni di piante chiuse in una struttura creata con materiali tracciati e sostenibili, autosufficiente dal punto di vista energetico e del consumo di acqua. Pavimenti ottenuti da lino e mais, rivestimenti creati dal riciclo di bottiglie di Heineken, e un sistema di passerelle aeree per godere la fastosità della foresta come fossimo aquile.

 

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“Ho creato le biosfere più grandi del mondo per testimoniare la bellezza della natura e proteggere la biodiversità del nostro Pianeta, ma soprattutto per dimostrare che nulla è impossibile” racconta Tim, passeggiando tra le palme della sua foresta che ogni anno accoglie un milione di visitatori. Laureato in archeologia e antropologia all’università di Londra, Tim vive la vita come un pioniere, guidato dall’istinto e baciato dal fato. Durante gli studi suonava in giro per locali con una rock band. “Fu uno dei più grandi insuccessi della storia della musica” dice scherzando, e cercando un modo per campare, trovò lavoro come assistente nei celebri studi di registrazione di Abbey Road. “Il mio capo diceva che di questi posti non bisogna perdere neppure un’istante” ricorda, e tra quelle sale che profumavano di Beatles e Pink Floyd, Tim componeva la sua musica di notte, dopo il lavoro, finché il destino non portò un suo brano alla voce di una cantante di grido e divenne un successo. Era il 1982 e la sua Midnight Blue arrivò in testa alle classifiche aprendogli il cammino come produttore discografico. “Intro, due versi, ritornello. La musica commerciale deve rispettare delle formule e uccide ogni espressione personale. Per questo ho iniziato a odiarla” dice, spiegando che dopo alcuni anni di successi si sentì esausto; per lui era giunto il

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momento di cambiare. Dal cuore di Londra guidò fino in Cornovaglia e sotto la pioggia insistente di quelle falesie affacciate sull’Atlantico respirò aria nuova. Vide una casa che gli piaceva, ci passeggiò intorno un giorno intero, e il seguente la comprò spendendo tutti i suoi soldi. “Non c’era nessuna ragione al mondo per farlo, perciò non esitai. Se si ricomincia, bisogna farlo con un foglio bianco” racconta con l’ardore della sfida negli occhi. Tra quelle fredde colline Tim riscoprì la bellezza della natura, e provò disgusto nel vedere che in ogni piega della terra l’uomo aveva scavato voragini per estrarre caolino, e le aveva poi abbandonate inseguendo un’economia in bancarotta. Era la fine del vecchio millennio, a Kyoto si firmava il primo accordo sul clima, e Tim Smit sul ciglio di una miniera a cielo aperto comprendeva che quello era il suo appuntamento col destino. Su quella pietraia sterile avrebbe cresciuto una foresta tropicale, mostrando al mondo che la vita può rinascere contro ogni aspettativa.

 

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“E’ come in Peter Pan. Gli uomini hanno bisogno di una storia nella quale credere per poter volare. E la mia era talmente bella da convincere banche e abitanti a seguirmi nel mio progetto” racconta ancora Tim, che costruì attorno a se il consenso di burocrati e tecnici che lavorarono gratis perché quel sogno diventasse realtà.

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“Quando Tim si presentò da me, raccolsi la sfida proprio per la follia che rappresentava. Riportare la vita selvaggia in una miniera esausta, per di più nel clima della Cornovaglia. Era qualcosa di impensabile, e la struttura che Tim mi chiedeva di progettare per accogliere la sua foresta fu per me una sfida irrinunciabile” racconta l’architetto londinese Nicolas Grimshaw. Centinaia di collaboratori, sei studi che portano il suo nome da New York a Melbourne. Sir Grimshaw ha firmato l’architettura di musei, centri spaziali e aeroporti, plasmati con materiali trasparenti e segni futuristici. Ma quando si trovò davanti all’asprezza della miniera che Tim aveva individuato per la sua foresta, Grimshaw immaginò di coprirla con bolle di sapone, che quando si posano si adattano a ogni superficie unendosi tra loro, come in un gioco di bambini. Bolle gigantesche, fatte di esagoni e triangoli che si intersecano tra loro aggrappate a un’esile scheletro in acciaio. “La struttura è spinta più a esplodere verso l’esterno che a implodere, per questo le grandi sfere sono ancorate a terra, come tende da campeggio” spiega Sir Grimshaw, aggiungendo che le finestre poligonali sono realizzate con polimeri di tetrafluoroetilene (ETFE): il loro peso è appena l’1% di quello che sarebbe stato usando il vetro ma sono in grado di reggere il carico di un’auto. “25.000 metri quadrati coperti per un’altezza di 50 metri, che dentro ci può stare anche la Tower of London. In due anni di lavoro abbiamo costruito un’opera unica al mondo” conclude l’architetto con un sorriso.

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“Eden Project è un monumento alle persone che vogliono credere in qualcosa” spiega Tim Smit che oggi inizia i lavori di costruzione di un nuovo Eden in Cina, nella città di Quingdao. Sorgerà in un’area ambientalmente depressa dall’estrazione di sale e dagli allevamenti intensivi di gamberi. Tim assicura che non sarà una copia del primo Eden, ma che crescerà con lo stesso spirito. “Tutti in Cina sono consapevoli dei disastri ambientali commessi, ma i giovani chiedono un mondo diverso. Di questa musica che nasce dal basso, noi saremo i direttori d’orchestra” spiega Tim, che nonostante il progetto cinese sia un’opera storica del valore di cento milioni di sterline, sogna già di mettere in salvo sotto altre biosfere l’ecosistema antartico, sulle coste della Tasmania. “Proteggeremo la natura raccontando agli esseri umani la sua bellezza. E per non perdere la sfida, dobbiamo creare qualcosa di rock’n’roll” conclude Tim Smit, con l’orgoglio di chi, sul palco, raccoglie già gli applausi del pubblico.