Luxury Bunker: vince chi resta?
“La Terra è un punto nel mezzo di un poligono di tiro. Prima o poi qualcosa la colpirà” mi spiega Robert Vicino, un omone sui cinquanta che delle sue remote origini italiane ha conservato il fare da guappo e un grosso crocefisso d’oro al collo. Dopo molti anni spesi a comprare e vendere proprietà sulle marine della California, ha fondato la TerraVivos, una società che costruisce bunker di lusso in mezzo mondo. Mi ha dato appuntamento sulle alture di Edgemont, un pugno di case tra le praterie del Sud Dakota, per mostrarmi Xpoint, la città della resilienza, o per usarle sue parole, “l’arca che sto costruendo per salvare l’umanità”.
Nella valle che si apre ai nostri piedi, in file ordinate tra l’erba accarezzata dal vento, emergono 575 bunker. Struttura di cemento armato spesso un metro, un comignolo per filtrare l’aria, una porta d’acciaio e nessuna finestra. Tanto ficcati nella terra che dall’alto sembrano tracce lasciate da talpe preistoriche.
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“Incredibile” esclamo io senza nascondere uno sguardo accigliato alla vista di quel paesaggio post-atomico che si perde all’orizzonte. “Non è incredibile. E’ meraviglioso. L’unico destino” rimbecca lui, con tono stretto tra emozione e follia.
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Indicando nel vuoto gli spazi dove sorgeranno ristoranti e sistemi di difesa, mi assicura che in un paio di anni ogni bunker sarà elegantemente arredato e Xpoint potrà ospitare con ogni comfort cinquemila persone. “Vivos sarà la più grande comunità al mondo di sopravvissuti” e aggiunge che per perseguire il suo scopo, sta costruendo a Rothenstein, nella Germania orientale, il bunker super-lusso più grande del mondo. Si chiama EuropeOne e accoglierà sotto lo stesso tetto più di settecento persone. “C’è chi sta sulla staccionata a guardare, e chi invece galoppa” dice, puntando il dito verso di me come a cercare consenso.

Anche se i modi di Robert Vicino somigliano più a quelli di una guida spirituale che a quelli di un uomo d’affari, il mercato di rifugi familiari e bunker comunitari non ha mai conosciuto momento più florido di questo. Dieci anni fa crollava il mercato del real estate sul mondo e si apriva quello sotto terra. Le minacce nordcoreane, il terrorismo internazionale e i cambiamenti climatici si sono sommati alle paure di epidemie globali, catastrofi naturali e asteroidi che sfiorano il nostro Pianeta. E chi può, ha deciso di salvarsi, a partire dai capitani dell’industria e dalle star di Hollywood capaci di investire milioni di dollari per comprarsi una casa quanto più sotterranea possibile.
“Non era ancora completato e già era sold-out” racconta con orgoglio Larry Hall, esperto delle forze armate americane sotto la presidenza di Bush junior, che quando si è reso conto dei crescenti investimenti governativi per la costruzione di bunker, ha deciso di mettersi in affari e costruire il suo. Lo ha chiamato Survival Condo ed è l’unico bunker costruito nel gigante silos sotterraneo di un missile nucleare della guerra fredda. Un milione di dollari la parcella pagata agli ingegneri per progettarlo. Cinque milioni il costo per comprare un appartamento in questo grattacielo al contrario, venticinquemila dollari le spese condominiali mensili di ogni proprietario.
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“L’indirizzo è semplice, l’esatto centro geografico degli Stati Uniti” mi dice per telefono concordando il nostro incontro. Nel cuore dell’impero un dedalo di strade polverose disposte a scacchiera mi guida tra le desolate pianure del Kansas fino al Survival checkpoint. Oltre questo punto sono ammesse solo settantacinque persone al mondo, i proprietari dei quindici appartamenti del Condo.

Piscina con ornamenti tropicali, prato sintetico per cani con sfondo di montagne del Colorado, sala cinema con cinquemila film disponibili e backup dei dati Google, per consultarli anche quando la rete non esisterà più. Ospedale, sicurezza privata armata fino ai denti e una cella, per chi non saprà rispettare le regole dell’isolamento. “Qui gli ospiti possono vivere per sempre, senza più bisogno di uscire” spiega Larry Hall mostrandomi il piano dedicato alle colture idroponiche e all’allevamento dei pesci. “Normalità è la parola chiave” aggiunge, mentre lo seguo tra i corridoi del supermercato allestito al piano -15. Carrelli e scaffali riempiti di cibo in scatola formato maxi: “a turno gli ospiti lavoreranno e serviranno gli altri, perché qui la vita continua come ogni giorno”.
Se mai arriverà un tempo nel quale dovremo ritirarci in un bunker, la scelta di una comunità sembra essere migliore rispetto a un rifugio individuale nel giardino di casa. “Davanti alla fine, il 90% delle persone lassù si ucciderà per cibo, acqua e aria” spiega Larry Hall aprendo la sala nella quale sono contenute armi di ogni tipo, elmetti e lanciarazzi. “Qui abbiamo guardie armate giorno e notte, e con un sistema di droni siamo in grado di uccidere chiunque si avvicini nel raggio di un miglio. Perfetto per chi non vuole essere disturbato” dice sdrammatizzando accennando un sorriso e racconta che i proprietari più celebri, per scappare da media e mondanità, scelgono spesso di trascorrere qui le loro vacanze.
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C’è un silenzio innaturale tra i corridoi di questi bunker, quasi si camminasse in un sommergibile fantasma. Le porte blindate si chiudono alle nostre spalle ad ogni passaggio. Macchinari infernali puliscono l’aria da batteri letali, radiazioni, ceneri e ogni altro male immaginabile, e la spingono giù per cento metri sotto terra. Gli oggetti e le foto di famiglia lasciati dai proprietari negli appartamenti sono ridotti al minimo indispensabile per un tempo che non sia mai, ci tocchi vivere veramente. Ma la ragione di questo posto che vuole preservare la vita e che alcuni vivono come un’assicurazione sul futuro, crolla quando ci si ferma davanti ai monitor che in queste case quasi normali sostituiscono le finestre. Un sistema di telecamere mostra il perimetro fortificato del Condo e le pianure del Kansas che lo circondano. “Si può scegliere la vista che si preferisce” mi spiega con fierezza Larry Hall. Ma le immagini arrivano sui monitor con un lieve, quasi impercettibile, ritardo. In quella frazione di tempo, davanti a una finestra senza luce e nell’aria immobile, ci si rammenta di essere sotto terra e si cade nella più profonda inquietudine.
